Risoluzione Ministero delle Finanze su superfici delle attività produttive di rifiuti speciali (macellerie, distributori di carburanti) non assoggettabili a TARI

    Una Risoluzione (n. 2/2014) emessa recentemente dal Ministero dell’economia e delle finanze – Direzione Legislazione Tributaria e Federalismo Fiscale, in risposta ad un quesito posto in merito all’applicazione della TARI, come disciplinata dalla normativa attualmente in vigore (ricordiamo che sui tributi da versare in relazione alla produzione di rifiuti si è passati nel tempo attraverso svariati regimi, dalla TARSU alla TIA 1 e 2, fino alla TARES) ci dà occasione per fare il punto della situazione in riferimento alle fattispecie inerenti alcune categorie imprenditoriali rappresentate da Confesercenti, le cui attività producono cospicui quantitativi di rifiuti speciali non assimilabili ai rifiuti urbani, come tali non assoggettabili – o almeno non completamente – a TARI (fra questi le macellerie e i distributori di carburanti).

    La Risoluzione parte dal dato di fatto che le nuove disposizioni in materia di TARI (commi 639 e seguenti dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)”, ed in particolare il comma 649, primo periodo, prevedono che “nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”. Ne segue la considerazione che le nuove disposizioni hanno aggiunto, rispetto alla normativa previgente, una specificazione che consente di delineare meglio l’ambito applicativo della TARI rispetto alle superfici produttive di rifiuti speciali.

    Ricordiamo che le vecchie norme (art. 62 del D. Lgs. n. 507/93) prevedevano che “nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti”. L’interpretazione che finora i Comuni ne avevano dato, nella maggior parte dei casi, era quella secondo cui l’applicazione della TARI alle superfici specificamente destinate alle attività produttive, sulle quali vengono prodotti rifiuti speciali, poteva comportare la sola esclusione di quella parte di esse occupata da macchinari.

    Ora, non dovendosi più fare riferimento alle “specifiche caratteristiche strutturali” o alla “destinazione” della superficie, la norma permette di considerare intassabili “tout court” le aree sulle quali si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali.

    Il Ministero, in sostanza, ritiene che siano da considerare intassabili le aree ove si svolgono le lavorazioni industriali o artigianali, che in genere producono in via prevalente rifiuti speciali, e ciò indipendentemente dalla presenza o meno di macchinari: al contrario, secondo il Ministero, la presenza umana nelle aree produttive determinerebbe la formazione di una quantità non apprezzabile di rifiuti urbani assimilabili” (dunque, i rifiuti prodotti sarebbero per lo più “speciali non assimilabili”).

    In definitiva, assoggettando le aree produttive a TARI si darebbe origine ad “una ingiustificata duplicazione di costi, poiché i soggetti produttori di rifiuti speciali, oltre a far fronte al prelievo comunale, dovrebbero sostenere il costo per lo smaltimento in proprio degli stessi rifiuti”.

    La nuova disposizione – a parere del Ministero – “va, invece, nel senso di consentire una tassazione più equilibrata e più rispondente alla reale fruizione del servizio, evitando l’applicazione della TARI nelle situazioni in cui il presupposto del tributo non sorge, come nel caso delle superfici utilizzate per le lavorazioni industriali o artigianali, ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali. Ovviamente, nel rispetto della norma, l’esclusione dalla tassa avviene a condizione che i produttori di rifiuti speciali ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”.

 

    Il contenuto della Risoluzione si spinge poi ad una seconda considerazione importante, riguardante il terzo periodo del richiamato comma 649: questo afferma che con regolamento (il medesimo con cui disciplina riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati), il Comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione.

    Il Ministero, in proposito, chiarisce che, mentre il primo periodo detta un principio normativo di carattere generale, in relazione al quale il mero verificarsi della condizione della produzione in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali determina l’esclusione dalla TARI delle superfici produttive di tali rifiuti (senza che il Comune possa in proposito decidere alcunché, dato che “laddove le superfici producono rifiuti speciali non assimilabili il Comune non ha alcuno spazio decisionale in ordine all’esercizio del potere di assimilazione”), al contrario, con riferimento al terzo periodo il Comune può esercitare un potere, anche se nel solo ambito in cui gli è consentito, e cioè nei casi in cui si può procedere all’assimilazione dei rifiuti.

    In tali casi, spetterebbe al Comune individuare “ulteriori superfici da sottrarre all’assimilazione e, dunque, alla tassazione, e attuare per tale via una vera e propria limitazione del potere di imposizione”. Pertanto, nel regolamento comunale, il Comune determinerebbe quali sono le superfici a cui si applica il divieto di assimilazione che hanno la particolare caratteristica di essere funzionalmente ed esclusivamente collegate all’esercizio delle attività produttive.

   

    Tutto ciò premesso, lo scrivente Ufficio ritiene di poter evincere, desumendo dai princìpi espressi nella esaminata Risoluzione, che la situazione relativa ad alcune categorie imprenditoriali rappresentate sia la seguente:

–          Ai sensi del comma 684 dell’art. 1 della legge n. 147/2013 i soggetti passivi dei tributi presentano la dichiarazione relativa alla IUC (imposta Unica Comunale), di cui è una componente la TARI, entro il termine del 30 giugno dell’anno successivo alla data di inizio del possesso o della detenzione dei locali e delle aree assoggettabili al tributo.

–          Pertanto, stante il principio espresso nella Risoluzione ministeriale in oggetto, i titolari delle attività avviate per la prima volta dovrebbero riportare in tale dichiarazione, rispetto alla superficie totale dell’esercizio, la sola parte di superficie assoggettabile alla TARI, esclusa quella non assoggettabile perché produttiva di rifiuti speciali (per le macellerie, ad esempio, l’eventuale locale di sezionamento delle carni e la parte del locale di vendita – quella dietro il bancone, per intendersi – destinata al frazionamento dei tagli di carne). Ciò varrebbe anche per i ma
gazzini intermedi di produzione
(nel caso delle macellerie i locali ove avvengono le lavorazioni di disossamento, sezionamento, preparazioni) e per quelli adibiti allo stoccaggio dei prodotti finiti, in quanto produttivi di rifiuti speciali, nonché (ad esempio per i distributori di carburanti) per le aree scoperte che danno luogo, in via continuativa e prevalente, alla produzione di rifiuti speciali non assimilabili, ove siano asservite al ciclo produttivo (per i distributori di carburanti, nello specifico e ad esempio, gli autolavaggi e le aree ove avviene il cambio dell’olio o quelle relative ad eventuali officine annesse).

–          in applicazione del medesimo principio che esclude dalle aree assoggettabili a TARI quelle produttive di rifiuti speciali, considerato che, ai sensi del comma 686, per le attività già in essere, ai fini della dichiarazione relativa alla TARI, restano ferme le superfici dichiarate o accertate ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani di cui al D. Lgs. n. 507/93 (TARSU), o della tariffa di igiene ambientale prevista dall’art. 49 del D. Lgs. n. 22/97 (TIA 1), o dall’art. 238 del D. Lgs. n. 152/2006 (TIA 2), o del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), i titolari delle attività già operative dovrebbero presentare una dichiarazione di variazione delle superfici assoggettabili a TARI, escludendo le superfici produttive di rifiuti speciali.

–          Qualora, poi, i Comuni avessero individuato categorie di rifiuti speciali assimilabili ai rifiuti solidi urbani, in relazione ai quali determinate aree, produttive dei medesimi rifiuti, siano assoggettate a TARI, e gli stessi Comuni, con Regolamento, avessero escluso da queste ulteriori aree, da considerare intassabili, i titolari delle attività avrebbero l’ulteriore beneficio di non dover pagare la TARI per dette superfici. Questa previsione interesserebbe comunque solo quelle attività imprenditoriali che producono in ipotesi rifiuti assimilabili su parte individuata della superficie complessiva, ciò che non riguarda in modo rilevante le attività commerciali rappresentate.

 

    Si conclude che, applicando la Risoluzione in modo stringente, i titolari di esercizi quali macellerie o distributori di carburanti, produttori di rifiuti speciali, potrebbero dichiarare ai Comuni che determinate superfici non sono da assoggettare a TARI e quindi “auto-decurtare” dette superfici dal computo della tassa.

    E’ ovvio che il principio, se applicato pedissequamente, può comportare conseguenze “pericolose” in caso di dissenso da parte dei Comuni.

    Ciò perché attività quali le macellerie e gli impianti di distribuzione dei carburanti sono formalmente classificate, mediante un criterio di prevalenza dell’attività esercitata, quali imprese appartenenti al settore ATECO “commercio”, sebbene svolgano una parte di attività di tipo indubbiamente artigianale su specifiche superfici. In relazione a detta considerazione di tipo formale, i Comuni potrebbero porsi in contrasto con l’interpretazione oggetto della Risoluzione ministeriale, basata sull’aspetto sostanziale.

    Il consiglio alle strutture territoriali, dunque, è quello di intraprendere relazioni con gli Uffici comunali competenti al fine di chiarire le linee interpretative locali in relazione alla Risoluzione ministeriale, onde evitare contenziosi.

    Da parte nostra, presenteremo alla competente Direzione del Ministero dell’economia e delle finanze un quesito specifico per chiarire la problematica.